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Il senso dello scrivere, Torino e la piemontesità

Scritto da Patrizia Soffiati 23 Aprile, 2012

Il senso dello scrivere, Torino e la piemontesità

Culicchia, Gambarotta e Meluzzi raccontano i loro libri, i misfatti dei loro personaggi in una Torino che recita sulla sfondo o è solo evocata.

La XIV Festa del Libro di Orbassano quest’anno ha dedicato al tema del giallo, ai crimini e ai delitti, sia l’esposizione libraria sia gli incontri con gli autori. Ma al tema del giallo si può aggiungere una sottotraccia, quella del rapporto degli scrittori con Torino e la piemontesità.

Giuseppe Culicchia, venuto a presentare il suo ultimo libro,  parla di Torino leggendo in anteprima un breve brano dal titolo Badabùm, parola scelta per evocare un aspetto significativo della città: la sua capacità di trasformarsi e reinventarsi.

Il brano in una sintesi esemplare e ironica racconta tutti i momenti storici importanti dell’evoluzione di Torino, dalla tribù dei taurinensi alla Capitale d’Italia, dalla Corte Sabauda alla movida dei Murazzi, dalla nascita e sviluppo del cinema al Museo che ne ripercorre la storia, dalla Fiat alle Olimpiadi, dallo sviluppo industriale delle Officine Grandi Riparazioni alla nomina a capitale mondiale del Design nel 2008.

Torino ha dimostrato e dimostra ancora di saper sopravvivere alle proprie istituzioni culturali, rinnovandosi continuamente.

Sostiene Culicchia che per colpa della tecnologia Torino è la città con più single in Italia e single – anzi disperato e “sfigato” – è anche il protagonista del suo libro, Ameni inganni. Il racconto di un 40enne così solo che per incontrare qualcuno si finge interessato ad acquistare un immobile, unicamente per avere l’occasione di entrare nelle case delle persone e nelle loro vite. In una di queste case incontrerà il suo primo amore che, in un evolversi folle, finirà per diventare oggetto delle sue persecuzioni.

Altrettanto “sfigato” è il protagonista  di  “Le ricette di Nefertiti” di Bruno Gambarotta: un personaggio senza qualià di una certa borghesia torinese che , come afferma l’autore, smania di apparire.
Il suo personaggio è entrato a far parte di questa borghesia solo grazie al matrimonio con una ragazza conosciuta in un corso universitario, dove su 100 ragazze solo 3 erano maschi.

Il titolo del libro fa riferimento a un mito fondante della città di Torino, elaborato dallo storico Filiberto Pingone, che ne attribuisce le origini agli antichi egizi, dal ritrovamento nel sottosuolo cittadino di un torello dedicato al culto di Iside. Vero invece, che nel 1824 fu acquistata da un torinese la prima collezione di reperti egizi da cui nacque il Museo Egizio.

Come Culicchia è attento alle mutazioni della città e ai suoi umori, anche i personaggi di Gambarotta sono ispirati a storie torinesi.

Torino e la piemontesità sono da sempre il tratto caratteristico di questo scrittore e personaggio televisivo, attento agli aspetti concreti, al non apparire, all’etica del lavoro e del “bugia nen” ( intesa nel senso positivo del termine), come capacità di resistere. E della marginalità ne fa un elogio raccontando tutti i vantaggi dell’essere al margine, dell’osservare la vita anzichè parteciparvi  e sostiene che la scrittura in fondo è una forma di viltà, si vive la vita degli altri anzichè vivere la propria, citando Pirandello  “la vita o la si vive o la scrive”.

Torinese adottivo è anche il prof. Alessandro Meluzzi che in questa città ha studiato e ha lavorato per anni, come professore, psichiatra e consulente.

Colpisce immediatamente per la sua affabilità e la sua comunicatività, nonostante il tono colto, le frequenti citazioni di libri e le incursioni filosofiche, che lasciano un po’ imbambolato il pubblico, numerosissimo, che lo segue.
Il suo libro diventa un argomento secondario rispetto ai tanti temi trattati:  la sua esperienza clinica, l’anoressia,  il rispetto per la vita e la persona, l’importanza del saper comunicare la malattia e il ruolo di strumenti comunicativi come la televisione e i libri.

Del libro Meluzzi dice che non appartiene a colui che lo scrive, ma si definisce in chi lo legge. La comunicazione, dice citando Borges, esiste solo nel suo ricevente. Se ne deduce l’enorme importanza di considerare efficace una comunicazione quando si produce una relazione e una reale comprensione del messaggio.

Prendendo spunto dalla comunicazione introduce il tema del suo libro “Follie. Storie di delitti e castighi” dove vengono discussi in una chiave interpretativa circa 150 casi di cronaca nera, nel tentativo di fornire una descrizione delle emozioni e delle reazioni sociali suscitate dai crimini descritti. Ogni caso finisce per dar luogo a un’immagine di qualcos’altro, lontana dal suo senso originale, che si trasforma in un simbolo, una maschera – come nella commedia dell’arte – nel quale il lettore si impersona.

L'Autore


Patrizia Soffiati

SEO E COPY SPECIALIST, WEB MARKETING Reminescenze ispaniche e avveniristici approcci Yoga. "Il bello è vedere le cose in maniera diversa” Segui @Pitizeta su Twitter

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